Le verità di Greenpeace sul disastro ambientale nel Golfo del Messico

Greenpeace lancia un’offensiva contro le “bugie”, intese come dichiarazioni ufficiali diffuse dopo l’esplosione, verificatasi il 20 aprile scorso, della piattaforma petrolifera localizzata nel Golfo del Messico.
Greenpeace, in un documento intitolato “Orizzonte nero”, risponde a sei importanti domande riguardanti la catastrofe ambientale che si sta verificando a causa dell’immane fuoriuscita di petrolio.
Innanzitutto gli ambientalisti criticano aspramente la scelta del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, di ripristinare le esplorazioni petrolifere offshore, dopo una lunga moratoria, che non è stata attuata per gioco.

Anzi, sono proprio i precedenti a indurre gli Usa ad approvare la moratoria: nel 1969 esplose la piattaforma di Santa Barbara, con un rilascio di oltre 13 mila tonnellate di petrolio, mentre dieci anni dopo fu la volta della Ixtoc 1, che disperse in mare circa 480 mila tonnellate di petrolio ( il più pesante rilascio mai registrato), e ancora nel 2005, con 30 piattaforme che furono danneggiate o affondate in Lousiana a causa dell’uragano Katrina.
Greenpeace poi alza il tiro e attacca la Bp, ovvero la compagnia proprietaria della piattaforma petrolifera: con il denaro con cui ha pagato l’affitto della Transocean, si sarebbe potuto comprare un sistema di bloccaggio del pozzo a distanza (tra l’altro, obbligatorio per legge in Brasile e Norvegia), ma l’installazione di questo strumento, dopo lunghe discussioni, ha portato ad un nulla di fatto, poiché la lobby petrolifera è riuscita, con forti pressioni, a scongiurare l’utilizzo di questo sistema perché troppo costoso.
Inoltre, le cifre rilasciate dalla Bp riguardanti i barili affondati in mare, sono false: non si sa ancora con esattezza l’importo, ma le stime di Bp (3000 barili al giorno per un totale di 135 tonnellate) non corrisponderebbero alla realtà, ovvero agli studi della Noaa, che dopo i primi sopralluoghi, aveva già stimato 5 mila barili al giorno e un totale di 675 mila tonnellate in mare.
Inoltre la compagnia Bp non pagherà tutti i danni, ma il suo esborso si limiterà unicamente alle perdite economiche accertate e quantificabili, anche se dovranno subire l’attacco di una class action da parte dei pescatori.
Gli ecosistemi risentiranno fortemente di questo disastro ambientale e non è sufficiente utilizzare le tecnologie più avanzate, oppure pensare che sia solo colpa delle lobby petrolifere: gli incidenti, dipendono da fattori quali uragani, errori umani, malfunzionamento delle strutture e altri imprevisti e ce ne saranno ancora molti altri, purtroppo.

1 Comment

  1. Fabio

    Credo che lo scopo della BP è quello di ripristinare il pozzo petrolifero: questo è il primo obbiettivo su cui hanno lavorato fin dall’inizio della catastrofe la BP: e questo gli USA lo sanno bene! Robot per sondare il danno, ingegneri della BP tutti impegnati a ripristinare la piattaforma e adesso ci riprovano con robot dai bracci meccanici per sostituire le tubazioni esplose, per cercare di pompare il petrolio nelle navi…

    La verità è che non importa proprio niente a nessuno della catastrofe che stanno compiendo: e neanche il presidente Obama si sbilancia più di tanto.

    Se avessero veramente voluto tappare quel pozzo le operazioni di chiusura definitiva sarebbero state ben diverse da quelle fatte fino ad ora.

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