A circa due anni di distanza dal devastante tsunami che ha messo in ginocchio Fukushima, il Giappone ha deciso di rinunciare completamente all’energia nucleare, diventando così il terzo Paese (dopo Germania e Svizzera) ad intraprendere il lungo cammino verso la “denuclearizzazione”. A conferma dell’impegno preso, il governo nipponico guidato dal Premier Yoshihiko Noda ha approvato un nuovo piano energetico nazionale che consta di tre punti fondamentali: dismissione graduale di tutti i reattori entro il 2040; blocco delle opere di costruzione di nuove centrali nucleari, riaccensione parziale degli impianti esistenti solo dopo un accurato test di sicurezza.
Prima del tragico incidente del marzo 2011, che ha innescato la peggiore crisi nucleare degli ultimi 25 anni, il Giappone riusciva a coprire il 50 % del fabbisogno energetico della popolazione attraverso 54 reattori. Di questi impianti, solo due sono attualemente in funzione, per garantire il necessario approvvigionamento elettrico delle aree produttive dell’Osaka (terza città del paese). I termini fissati dal nuovo piano energetico nazionale, anche se lunghi, consentiranno di rinunciare all’energia nucleare destinando maggiori risorse all’importazione dall’estero delle cosidette energie tradizionali (gas, petrolio e combustibili, ecc), ma soprattutto investendo su altre fonti alternative e rinnovabili.
Il processo di “denuclearizzazione“ intrapreso dal primo ministro Noda, anche se graverà di sicuro sull’economia del Paese, è stato accolto con enorme entusiasmo dalla popolazione nipponica, ormai terrorizzata dagli elevati rischi legati all’impiego dell’energia nucleare. La preoccupazione dei giapponesi è sfociata in un movimento popolare sempre più crescente, che ha condotto decine di migliaia di persone in piazza per chiedere alle autorità l’adozione di misure alternative e di gran lunga più sicure.