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Greenpeace e i biocarburanti

30 Lug 2011
Daniela F
Innovazione Tecnologica, Petrolio e Combustibili

Fai un pieno di diesel in Europa e, senza saperlo, diventi complice dei cambiamenti climatici, della deforestazione e dell’estinzione della tigre di Sumatra! Un vero e proprio paradosso ambientale, che, come al solito, in Italia trova terreno “fertile”. Ma andiamo con ordine.

La normativa europea obbliga gli Stati dell’Unione ad usare almeno il 10 per cento di biocarburanti entro il 2020, ma è sempre più chiara la consapevolezza che da questa scelta, teoricamente amica dell’ambiente, possano derivare danni ancora più seri per l’ambiente stesso, per la salvaguardia della biodiversità e per il clima.

Nel nuovo rapporto di Greenpeace si può trovare l’allarme che il diesel europeo viene attualmente e regolarmente miscelato con i biocarburanti più dannosi per le foreste, cioè quelli prodotti dala colza, dalla soia e dall’olio di palma.

Bruxelles ha vietato di utilizzare biocarburanti che provengano dal cambio diretto di destinazione dell’uso dei suoli. Ma il rapporto di Greenpeace (“La benzina verde minaccia clima e foreste”) segnala pure come questa stessa norma venga aggirata grazie al cambio indiretto di destinazione, in questo modo si fa sì che si elimini foresta pluviale per far spazio alla soia, allacolza ed alla palma da olio da trasformare in carburanti. Il meccanismo è semplice: si prende un terreno coltivato a fini alimentari e lo si destina a colture energetiche, nasce quindi il bisogno di cercare nuovi posti ove rilocalizzare la produzione agricola “sftattata”, per bilanciare allora si erode quota di foresta per piantare colture destinate all’alimentazione. Il rapporto racconta queste dinamiche perverse emergono anche in Italia, dove c’è il record di consumo di olio di palma, una delle colture a più alto impatto ambientale. La produzione di biodiesel in Italia è notevolmente aumentata negli ultimi 6 anni: ci sono 12 impianti che hanno una capacità produttiva potenziale pari a 2,4 milioni di tonnellate. La domanda che ci viene è; ma cosa mettiamo nel nostro serbatoio?

Per il nuovo rapporto Greenpeace “Metti (l’estinzione di) un tigre nel motore” sono stati raccolti 92 campioni di diesel in stazioni di servizio delle principali compagnie (tra cui Esso, Agip, Shell) in nove Paesi europei che sono stati poi inviati a un laboratorio tedesco specializzato nelle analisi dei carburanti. Tra i campioni, quelli con la maggiore percentuale di biocarburanti – tra il 5 e il 7 % – sono stati trovati in Francia, Germania, Italia, Svezia e Austria. Mentre in Francia la coltura più utilizzata è la soia, in Italia è stata riscontrata un’altissima percentuale di olio di palma.

La colpa? È dell’Unione Europea, che spinge per l’adozione cieca dei biocarburanti senza distinguere tra quelli che aiutano il clima e quelli che invece sono un pericolo per il Pianeta. Servono subito leggi in grado di limitare l’uso di quei biocarburanti che distruggono clima e foreste e di favorire soluzioni più efficienti.

La soluzione al problema? Secondo Greenpeace “serve una legge che renda obbligatorio il calcolo delle emissioni serra prodotte dal ciclo completo di lavorazione dei biocarburanti. Bisogna incentivare il biodiesel a basso impatto ambientale: dunque coltivazioni locali, che non richiedono l’uso di pesticidi e crescono con poca acqua. Solo a queste condizioni si può veramente parlare di biodiesel”.

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ambiente, biocarburanti



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