I Costi del Nucleare: analisi di una grande menzogna

Ad una prima analisi piuttosto sommaria, emerge un’apparente convenienza dettata dall’introduzione del nucleare che sembra avere costi molto bassi rispetto alle altre fonti di energia, questo perché il costo solitamente non include una serie di spese accessorie, addebitate ai cittadini, impiegate  per sostenere, realizzare, gestire e infine smantellare una centrale nucleare.

Analizzando più in profondità il sistema energetico, partendo dalla costruzione delle centrali fino ad arrivare allo stoccaggio e allo smaltimento dei rifiuti, sarà possibile notare in maniera molto palese l’incremento sempre più serrato dei costi.

Difatti, costruire una centrale prevede tempi lunghi, in quanto il tempo medio di costruzione si aggira sui 10 anni, ovviamente questo è un lasso di tempo oggettivamente molto lungo in cui vanno ad accumularsi i cosiddetti costi opportunità, ossia le “perdite potenziali pari al tasso di interesse perso se i fondi fossero stati depositati in banca o occupati in altre attività economiche”.

Si aggiunge a questo il costo dello smaltimento dei rifiuti, in quanto si sa che le centrali nucleari producono un’ingente somma di scorie nucleari difficili da neutralizzare, fonte di enorme pericolo per la società oltre che assolutamente dispendioso da un punto di vista prettamente monetario.

Ovviamente dopo l’intero ciclo di produzione le centrali andranno smantellate e bisognerà procedere ad una bonifica del territorio tutt’altro che economica.

Volendo semplificare il discorso potremmo prendere in esame la centrale nucleare Usa di Maine Yankee, costruita negli anni ‘60 con investimenti pari a 231 milioni di dollari correnti, la centrale oramai ha raggiunto il massimo del suo ciclo produttivo, perciò in via di smantellamento, e a quanto pare solo per la sua riqualificazione sono stati impiegati oltre 635 milioni di dollari correnti.

Probabilmente quindi, quella del nucleare a basso costo rappresenta unicamente una grande bolla di sapone che al suo interno nascondono numerose anomalie quali costi e imprevisti nascosti che noi cittadini faremmo bene ad analizzare.

1 Comment

  1. Giulio Budini

    L’alto costo dell’energia elettrica italiana è dovuta a quattro principali fattori, non certo al fatto che non abbiamo il nucleare:

    1. il sistema di formazione del prezzo dell’elettricità nella borsa elettrica, detto anche “sistema del prezzo marginale”. Con questo sistema l’energia elettrica offerta dai produttori non viene remunerata in base al prezzo richiesto da ogni produttore, ma in base al prezzo più alto offerto dai vari produttori nel loro complesso, con il risultato di consentire loro grossi extra-profitti e un prezzo finale per i consumatori più alto anche del 10%.

    2. I cosiddetti “oneri generali di sistema”, che pesano per un altro 10% sulle bollette elettriche e che servono a pagare lo smantellamento delle 4 vecchie centrali nucleari italiane (212 milioni di Euro nel 2008), a ripagare le imprese elettriche e l’Enel in particolare per gli investimenti fatti prima della liberalizzazione (680 milioni di Euro nel 2007, 200 milioni di Euro nel 2008 fino alla sua sospensione nell’ottobre del 2008) e soprattutto per incentivare le fonti assimilate alle rinnovabili, ossia la produzione di elettricità con gli scarti delle raffinerie di petrolio, con i rifiuti, con la cogenerazione a gas naturale. In particolare, queste fonti non rinnovabili, nel 2008 hanno rappresentato l’83,3% dei ritiri obbligati CIP-6 e il costo per i consumatori è stato di 1.720 milioni di Euro.

    3. L’inadeguatezza della rete elettrica nazionale sia in Alta, che Media e Bassa tensione. La rete di trasporto e di distribuzione è stata progettata negli anni ‘60 del secolo scorso, gli anni del monopolio, e pensata principalmente come monodirezionale (poche grandi centrali convenzionali che producono energia da trasportare prima di tutto ai grossi consumatori industriali) e quindi passiva. Le odierne esigenze sono invece di sviluppare reti di trasmissione sia passive che attive, cioè in grado di accogliere e smistare efficientemente anche i flussi in immissione provenienti dai tanti piccoli e medi impianti (la cosiddetta generazione distribuita). Inoltre nel Sud dell’Italia la rete di trasmissione è particolarmente insufficiente e congestionata. Il risultato è che, per esempio, mentre nel Centro-Nord l’energia elettrica è scambiata in Borsa tra un minimo notturno di 25 €/MWh e 70 €/MWh nelle ore di punta, in Sicilia il prezzo oscilla tra 25 €/MWh e 120 €/MWh, per non parlare della Sardegna dove arriva a 180 €/MWh in ore di punta (1). Possiamo sostenere quindi che un’altra buona fetta della tariffa elettrica è imputabile alla inadeguatezza della rete elettrica italiana.

    4. Infine quasi il 20% della bolletta elettrica se ne va in tasse e IVA. Secondo una indagine svolta da Confartigianato la tassazione dell’energia in Italia risulta superiore del 30 per cento rispetto alla media europea, del 19,3 rispetto alla Germania, del 36,2 rispetto alla Francia e addirittura del 63,9 per cento rispetto alla Spagna. Certamente la tassazione più consistente riguarda i prodotti petroliferi, ma anche sull’energia elettrica lo Stato non scherza. Due le imposte indirette che gravano sulle imprese per l’energia elettrica in proporzione ai consumi: una erariale di consumo e una addizionale provinciale. L’impatto di questo sistema di imposizione sull’industria è pesante: escludendo l’iva, un’impresa che consuma 160 megawattora all’anno, paga il 25,4 per cento di imposte sui suoi consumi elettrici, contro una media del 9,5 per cento in Europa. La Confartigianato fa notare che in nessun’altra parte del continente si paga così tanto e che in 12 paesi l’accisa è addirittura zero. Ma non è finita. Dal 2001 l’Italia fa pagare meno tasse ai grandi consumatori di elettricità. In sostanza, chi consuma più di un certo livello di kilowattora al mese non paga né l’imposta erariale né l’addizionale provinciale.[Sergio Zabot]
    http://www.aspoitalia.it/attachments/255_la%20politica%20dell%27emotivit%C3%A0_zabot.pdf

    Tutto ciò incide anche più del 40%. Lo dicano invece di spingerci al nucleare che ci farà aumentare il costo in bolletta a dismisura…

    Il costo del nucleare ora non conviene certamente in regime di libero mercato, nel 2008 stima Moody’s per costruire una centrale nucleare il costo è di 5,46€/W e il costo al kWh è di 7 centesimi di euro.
    http://magazine.quotidianonet.ilsole24ore.com/ecquo/masullo/2010/05/06/centrali-nucleari-la-realta-oltre-la-propaganda/

    J. Wayne Leonard, amministratore delegato di Entergy Corp. la seconda compagnia americana di impianti atomici, afferma che se diamo un costo appropriato ai rischi siamo semplicemente fuori mercato (“When we price the risk appropriately … the numbers just don’t work”) perlomeno finché il costo del gas e del carbone non raddoppino.
    http://uk.reuters.com/article/idUSTRE64N5S420100524

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