Crescono le vendite dei biocarburanti nell’Unione europea

Nel 2011 un segnale positivo: durante l’anno in corso, infatti, molti Stati dell’Unione europea hanno rivisto al rialzo le percentuali di miscelazione dei carburanti verdi. L’Italia passa dal 3,5 al 4 per cento, la Spagna al 7 per cento.

E si sta diffondendo una nuova visione legata alle rinnovabili, che oltre alla sostenibilità ambientale sostengono l’economia primaria, industriale e l’occupazione.

La direzione è quella dunque di una crescita per il settore, supportato da alcuni importanti provvedimenti legislativi. Nell’Unione europea, infatti, a valle delle Direttive 28 e 30 del 2009, diversi Stati Membri nel 2011 hanno aumentato le quote nazionali di miscelazione dei biocarburanti rispetto al 2010, sulla base del contenuto energetico. Così l’Italia è passata dal 3,5 al 4 per cento, la Polonia dal 5,75 al 6,2 per cento, la Spagna dal 5,83 a 7 per cento, la Bulgaria dal 3,5 al 5 per cento, mentrela Danimarca adotta per la prima volta una quota del 3,5 per cento.

Come risultato di questo scenario, aumenta il tasso atteso con un maggior consumo di biocombustibili per trasporti in Ue. Secondo le stime di luglio dell’EurObserv’Er, le vendite di biocarburanti sono passate da 1,7 milioni di tonnellate petrolio equivalente del 2009 a 13,9 milioni.

Di pari passo con la crescita delle produzioni di biofuel, si sta diffondendo una visione più ampia nel settore dei biocarburanti. «Sia in Italia che nell’Unione europea l’approccio nei confronti delle energie rinnovabili non considera più soltanto l’ambiente e la riduzione dei gas serra, cosa evidentemente importante e direttamente connessa all’origine rinnovabile del combustibile, ma il fenomeno dei biocarburanti viene sempre più analizzato anche da altri angoli di osservazione», afferma l’ingegnere David Chiaramonti, docente del corso di Energie rinnovabili alla facoltà di Ingegneria, chairman del convegno Isaf e presidente del Consorzio di ricerca Re-Cord.

L’esempio degli Usa è emblematico, secondo il professor Chiaramonti: «Negli Stati Uniti l’accelerazione reale che ha avuto il biofuel in questi anni è stata principalmente legata ad obiettivi quali l’indipendenza energetica, la sicurezza e la diversificazione degli approvvigionamenti energetici, ed il supporto alla produzione agricola interna. Il tutto accanto alle esigenze di proteggere l’ambiente». Sta avanzando una nuova consapevolezza, e cioè che attorno ai biofuel si può costruire un’economia reale e legata al territorio, in grado di assicurare un indotto produttivo, economico ed occupazionale rilevante, «da tenere ancor più in considerazione in periodi di instabilità generale».

Nel 2009 i soli biocarburanti in Italia occupavano 5.600 unità mentre arrivavano alle  63.200 le fonti rinnovabili, con un fatturato complessivo di 1,5 miliardi di euro contro i 9,7 miliardi complessivi delle fonti rinnovabili.

In questo senso l‘Italia, con progetti quali quello del gruppo Mossi & Ghisolfi sull’etanolo da biomassa lignocellulosica, che ha l’impianto dimostrativo oggi più grande al mondo, si trova a svolgere un ruolo di punta a livello internazionale. E questo comporta nuova occupazione altamente specialistica nella ricerca, varie centinaia di occupati, diretti ed indiretti, nella produzione industriale, ed altrettanti nel comparto agricolo.

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